COMUNE DI SAN CASCIANO IN VAL DI PESA

1944- 1994

MEMORIE DEL PASSAGGIO DEL

FRONTE A FABBRICA E


MONTEFIRIDOLFI


25 Aprile 1995


a cura di Franco Bartalesi


PRESENTAZIONE


L'Amministrazione Comunale, di San Casciano in Val di
Pesa ritiene doveroso divulgare,ricorrendo il

cinquantesimo anniversario della Liberazione, la ricerca di Franco Bartalesi sul passaggio del fronte a Montefiridolfi e Fabbrica, con lo scopo di lasciare alle generazioni attuali e sfatare la memoria di una fase atonica che ha segnato profondamente la vita di una comunità.

La ricerca contiene, insieme a fatti già noti, circostanze, episodi e testimonianze prima d'ora non organicamente raccolte. Si tratta di frammenti di una "storia minore" ma non per questo meno importante, meno intensamente e drammaticamente vissuta; e poi, l'insieme di tantissimi di questi frammenti hanno composto la storia della Liberazione dell'Italia dall'oppressione fasciata e nazlòta. La ricerca, conservata presso l'Archivio Storico della Resistenza in Toscana è stata svolta nel 1983 e successivamente è stata ampiamente arricchita con la ricostruzione accurata di tanti altri avvenimenti così da presentarsi come lavoro completo e ben strutturato.

Una ragione ulteriore perchè sia divulgato questo lavoro di franco Bartalesi e quella di offrire a tutti uno spunto di riflessione per una consapevole e rinnovata scelta per la democrazia, la libertà, la giustizia sociale contro la barbarie del fascismo e della dittatura.

Ringrazio, Interprete anche del montigiani, Franco Bartalesi per il Suo lavoro fatto con grande impegno e con rara passione.

Il Sindaco (Fabrizio Bandinelli )


Ho letto con piacere il risultato dalla ricerca del
Bartalesi, cominciata, quasi per gioco, diversi anni e.
Approdata ad una prima stesura, e stata poi ripresa - a
distanza di tempo - e sviluppata con una più ampia e.
attenta ricostruzione del quotino d'insieme. L'A. sa
benissimo di non essere uno storico e lo confessa
apertamente, ma bisogna riconoscere che il piatto del
suo lavoro, fondato su alcuni documenti coevi ed una
serie di testimonianze pazientemente raccolti e
confrontati, e un'attenta
emisuratacronaca

dell'impatto su una comunità locale degli sconvolgimenti, bellici e delle modificazioni che questi hanno introdotto a livello politico-culturale anche nei più piccoli borghi delle campagne italiane. Modificazioni che oggi tanti, por motivi diversi, vorrebbero seppellire, dimenticando che esse hanno segnato il momento in cui il senso dell'identità nazionale ha toccato gli strati più ampi del popolo italiano e ne ha cambiato profondamente l'assetto politico per l'acquisizione della coscienza da parte delle classi sociali subordinate di essere a pieno titolo soggetti e non oggetti della vita politica, sanzionando nello stesso tempo la pari dignità di tutti i cittadini, senza distinzione di censo, di sesso, idee politiche o religione. E poichè sono proprio questi i principi che si mira a cancellare - e una eco dei quali è presente anche nella disponibilità e nelle parole dei testimoni interpellati dal Bartalesi - è assai opportuno che l'Amministrazione Comunale di San Casciano in Val di Pesa pubblichi questo lavoro, che modestamente e senza pretese, e proprio per questo forse più efficacemente, ricorda a tutti quante sofferenze, quante lacrime e quanto sangue sia costata al popolo italiano la democrazia.

Giovanni Verni


Lo scopo di questi appunti è un modesto contributo abbinano, le sofferenze patite da tutti, nel periodo del passaggio del fronte, rimangano trasmissibili anche alle generazioni più giovani della mia. La speranza è quella di essere riuscito a rimanere obbiettivo.

Nel raccogliere queste testimonianze ho avuto la difficoltà di raccontare i fatti concatenati che avvennero contemporaneamente In posti differenti; spero che tutto risulti comprensibile anche per chi non è pratico del posti ed avrà bisogno della cartina. Per chi ha del dubbi l'Invito e quello di domandare a conoscenti testimoni del fatti, oppure, se le perplessità riguardano i luoghi, di mettersi un palo di scarpe, comode, o partire in bicicletta per andare a vedere.

Non ho la pretesa di avere raccontato TUTTO ma oltre iI limite che ha raggiunto questa ricerca "artigianale" credo occorra un lavoro storico vero e. proprio che ha bisogno di uno sforzo bibliografico e di ricerca scientificamente organizzata che non mi sento di affrontare in pochi mesi.

Rimangono comunque gradite le comunicazioni di rettifiche, precisazioni, date certe o documenti che arricchiscono quanto già raccontato oppure, la storia più antica di Montefiridolfi.

Ringrazio II SindacoFabrizioBandinelli

dell'Incoraggiamento e II Voti. Verni, dell’Istituto Storico della Resistenza Toscana, dell'autorevole controllo. Un sentito e doveroso ringraziamento anche a coloro che mi hanno aiutato, raccontandomi le loro esperienze, spesso con serenità ma talvolta con gli occhi lucidi e la voce rotta da un dolore ancora vivo.

Franco Bartalesl


1. PASSAGGIO DEL FRONTE A FABBRICA

A Fabbrica i tedeschi in ritirata installarono un. comando di una certa importanza nella fattoria (vd. cartina -R- e successivamente nella villa (vd. cartina -y -) provocando praticamente il completo sfollamento dell'abitato.

Come è facile constatare Fabbrica è in posizione dominante sulla vai di Pesa ed in particolare, prima del passaggio del fronte, la villa era un ottimo punto di osservazione perchè il conte Piatti aveva fatto rialzare notevolmente il torrino centrale e creato un terrazzo a belvedere con addirittura l'ambiziosa, quanto improbabile, intenzione di vedere Genova, sua città natale.

In prossimità del paese fu predisposto un campo minato (vd. cartina -S-) e minate le vie d'accesso da sud-ovest con delle potenti cariche esplosive (vd. cartina -T-; -U-).

Da questo comando dipendeva la zona del fronte a sud di San Casciano. Perlomeno parte degli ufficiali e soldati della Wehrmacht erano di origine austriaca. Fermo restando il durissimo comportamento ed i maltrattamenti propri di un esercito occupante quei militari non si abbandonarono a gratuite crudeltà.

Il comando operò per più di due mesi ed approssimativamente, la data dell'arrivo in forze dei primi tedeschi si può collocare al 10 Maggio 1944.

Anche nel gruppo di case di Paterno, vicino alla fattoria Antinori si installò un nutrito gruppo, probabilmente una compagnia, di tedeschi. Di questo distaccamento si ricordano episodi che assomigliano ad atti amministrativi; come quando fu rilasciato, dall'autorità Germanica, un ordinanza-lasciapassare affinchè non venissero requisiti alimenti e non fossero maltrattati i sei bambini della famiglia Nuti (tre fratelli e tre sorelle), orfani da poco del padre e con la madre non in salute.

Il fattore del marchese Antinori, Simone Sieni. fu fermato da due occupanti che lo costrinsero a consegnargli il suo bell'orologio da taschino. Il fattore non accettò la prepotenza ed andò coraggiosamente a riferire il fatto al distaccamento di Paterno.

La denuncia provocò la reazione della disciplina tedesca; infatti alcuni ufficiali fecero inquadrare tutti i soldati che erano stati intorno a Paterno per dare la possibilità al fattore di individuare i colpevoli. L'orologio fu restituito ed i due responsabili della requisizione furono condannati a marciare avanti ed indietro, a passo cadenzato, nel piazzale di quel gruppo di case per ore sotto gli occhi dei civili. Sempre a Paterno, per circa due giorni, furono tenuti


prigionieri nelle stanze del segatoio della famiglia

Giuntini un gruppo di 25-30 civili provenienti da

Castellina in Chianti e destinati alla deportazione in

Germania.

C'erano uomini maturi ma sopratutto giovani ed anche

alcuni quindicenni.

Quando il fronte era ancora lontano gli alleati cercarono di interrompere i rifornimenti tedeschi attraverso la Via Cassia bombardando, in località Pontenuovo, il ponte sulla Pesa. Il bombardamento, pur provocando danneggiamenti, non interruppe la circolazione. Successivamente, sempre nella zona del Pontenuovo, un aereo alleato mitragliò un camion ed il carro con i buoi del contadino Fallai della Romita che era stato a prendere una "carrata" di rena (sabbia) all'Olmo.

Intorno al 10 Luglio nella casa colonica Pratale (o Pretale) un gruppo di tedeschi sequestrarono Lotti Giuliano, Gori Marcello e Gori Serafino per stendere dei grandi rotoli di cavo telefonico. I famigliari temettero di non rivedere quegli uomini nonostante le assicurazioni dei militari, invece dopo aver lavorato alla realizzazione di quella linea telefonica di fortuna fino alla Fattoria Antinori furono rilasciati. Quel cavo non veniva fissato nè ai pali nè ad alberi ma semplicemente appoggiato a terra.

A Fabbrica facevano capo diverse altre linee telefoniche a conferma dell'importanza del Comando.

Prima del passaggio del fronte, il 14 Luglio alle 11 di mattina, Emilia Landi, Agostino Lotti (detto Moro) e Teresa Viviani, mentre si recavano all'orto nei pressi di Fabbrica entrarono inavvertitamente in un campo minato (vd. cartina -S-). Emilia Landi rimase gravemente ferita dallo scoppio dell'ordigno mentre "il Moro" fu ferito più leggermente e Teresa rimase incolume."Il Moro" e Teresa riuscirono ad arrivare ad un casolare dove erano sfollati alcuni abitanti di Fabbrica e dettero 1'allarme.

Pasquale Viviani, Eugenio Viviani e Antonio Bagni accompagnati da due dei tedeschi che occupavano Fabbrica, uno avanti e uno dietro, andarono a recuperare Emilia che fu portata con una camionetta militare all'ospedale di Tavarnelle, dove morì alle una di notte del giorno successivo (15 Luglio).

Anche Vittoria Lenzi, calpesta una di quelle mine prima del passaggio del fronte e viene gravemente ferita riportando lacerazioni in tutto il corpo e l'amputazione di una gamba.

Gli occupanti abitualmente rastrellavano i civili per farli lavorare. Fra i tanti si ricorda un episodio più drammatico di altri verificatosi quando Antonio Bacci e Pasquale Viviani furono prelevati dai campi dove stavano lavorando e costretti a scavare una buca per mine. Il militare di guardia, ad un certo punto, fece capire che quella sarebbe stata la loro fossa se non fossero

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scappati e dette loro un pacchetto di sigarette. I due senza farsi pregare scapparono, ma furono visti da altri occupanti, meno comprensivi del loro camerata, che spararono loro addosso; però Antonio e Pasquale fortunatamente riuscirono a raggiungere il bosco dove si nascosero.

Qualche settimana prima del passaggio del fronte i molti uomini che presidiavano Fabbrica si ritirarono e furono sostituiti da altri tedeschi, fra cui un reparto delle famigerate SS. Alcuni di questi militari erano feriti. Anche le truppe dislocate a Paterno si ritirarono all'approssimarsi della linea del fronte, lasciando l'abitato completamente privo di presidio per uno o due giorni, per poi essere di nuovo presidiato da altre truppe molto meno numerose ma più rudi ed agguerrite. A S. Maria Macerata c'erano altre SS.

A Perticato, fra Pratale e la fattoria Antinori,nelle case dei coloni Salvianti e Pescini, erano sfollate anche altre famiglie di Fabbrica. Pochi giorni prima del passaggio del fronte ricevettero la consueta quanto sgradita visita di una squadra di tedeschi. Questi militari capitarono quando era stato sfornato da poco il pane e lo requisirono tutto di prepotenza. Bisogna aver ben chiaro che in quei momenti il pane era preziosissimo perchè costituiva il sostentamento principale insieme alla frutta (averlo significava nutrirsi) ed ancor più in quelle famiglie dove c'erano diversi bambini.

Si comprende meglio, così, il gesto di stizza della massaia Ida Pescini che, vistasi portar via un'intera "assata" di pane afferrò una pera e la tirò forte "ni' groppone" (la schiena) dell'ultimo tedesco che se ne stava andando. I militari la rincorsero mentre lei (nè alta, nè magra) scappava in casa.

Gli inseguitori, cercando la massaia, si imbatterono in una moto Guzzi che era stata nascosta in quella casa dal fattore di Fabbrica, Alfredo Conti, che abitava alla Sambuca. Per i tedeschi era più importante quella scoperta che la temeraria Ida; infatti se ne andarono ma tornarono con un carro per prendere la moto.

Amedeo Catenacci era un fiorentino venuto a Fabbrica a servizio del conte Piatti come giardiniere ed addetto all'orto già da qualche anno. Il giovane portava con sè una pistola, apparentemente senza nessun motivo. In molti gli avevano sconsigliato di continuare a portarsi dietro una cosa così compromettente ma lui affermava di sentirsi più sicuro.

Improvvisamente di lui non si ebbero più notizie e la scomparsa non è stata chiarita neanche nel dopoguerra nonostante le ricerche della famiglia (1).

La notte del 22 luglio Fabbrica ed il vicino ponte "della Bricola", sulla strada per Sambuca, furono pesantemente cannoneggiati. Addirittura la famiglia Vermigli, a cui era stato imposto di evacuare la loro casa (podere Casanuova), in quella buia notte, fu illuminata dai bagliori delle esplosioni mentre stava

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sfollando con un carro di quello che avevano potuto recuperare, verso "Becciolino" (Pian dei Berti). Lungo questo tragitto i Vermigli incontrarono, nelle vicinanze del cimitero di Fabbrica, molti tedeschi che stavano riposando. La colonna in ritirata si spostava con tutti i mezzi anche a piedi e a cavallo. I Vermigli, al buio, dovettero prestare molta attenzione per non investire con il loro carro i militari sdraiati, alcuni di questi chiesero ai contadini del pane.

Già da tempo la Wehrmacht si era dimostrata in seria difficoltà per i rifornimenti pur resistendo con tenacia ed efficacia alla superiorità schiacciante, in uomini e soprattutto in mezzi, degli alleati. Inoltre l'avanzata era favorita anche dalle azioni di sabotaggio e raccolta informazioni dei partigiani.

I giovani Francesco Galletti, Bruno Dainelli e due
grevigiani parenti della famiglia Catarzi gi
à da qualche
mese si erano dati alla macchia per sfuggire alla
chiamata di leva del governo fascista della classe 1924.

II 22 Luglio, dal loro rifugio notarono i combattimenti
e l'avanzata alleata sul poggio della Romita.
Pensarono di essere ormai superati dalla linea del
fronte ed in serata fecero ritorno alle loro vicine
famiglie.

I Galletti erano coloni del podere Montorsolino, fra il castello di Montefiridolfi e Fabbrica sul versante che si affaccia sulla Pesa ed a causa delle oggettive difficoltà di comunicazione ritenevano di aver già passato il peggio.

Invece, nella nottata, una squadra di tedeschi fece irruzione nella casa e dopo aver riunito i presenti sequestrarono i documenti di tutti. Questi occupanti lasciarono quella casa intorno alle una di notte restituendo i documenti ma portando con se Valentina Pettini, Bruno Dainelli, Rita e Francesco Galletti fino alla casa "di' Brucio" (podere Ripa), distante poche centinaia di metri, anche se separata da un borro, dove erano accasermati. I babbi dei sequestrati seguirono a distanza i loro figli ed i tre giovani militari fino a che questi li costrinsero a tornare indietro, minacciandoli con le armi spianate.

Durante il percorso Francesco Galletti temeva che le ragazze fossero state sequestrate per abusarne ed era deciso a reagire se qualcuno avesse messo le mani addosso alla sorella. Cosa che invece non avvenne (2), infatti, nelle intenzioni dei tedeschi, i giovani dovevano solo preparare un ricco desinare. Arrivati alla casa dove erano accasermati, l'ufficiale che li comandava, con la barba incolta, non si curava molto dei prigionieri ma si tormentava, dando anche violenti colpi sulla tavola, a causa della perdita di un suo camerata (il corpo sarà ritrovato in un casa di Fabbrica).

I giovani furono mandati a dormire ma già dal mattino presto della domenica 23 Luglio le ragazze furono messe a cucinare con provviste rastrellate ad altri civili ed

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a preparare la tavola con il servito buono trovato nella

casa "di' Brucio" e le belle tovaglie lì nascoste dalla

famiglia Pescini del Pontenuovo. Per tovaglioli i

militari fecero usare "i pannetti" da donna (pannolini

di allora) che trovarono nella casa, probabilmente

ignorandone la destinazione, oppure giudicando il capo

di corredo adattissimo alla funzione del tovagliolo.

Francesco fu obbligato anche a scavare una trincea per

mitragliatrice.

Gli alimenti razziati erano abbondanti, ma, mentre le

ragazze preparavano, i ragazzi furono spediti a cercare

altre vivande per completare l'assortito menù.

Per procurare delle pesche primaticce, Francesco si

ritrovò faccia a faccia con un tedesco appostato proprio

sulla linea del fronte che, vedendolo arrivare gli puntò

il fucile minaccioso. Il giovane mise subito le mani in

alto e riuscì a spiegare il perchè della sua presenza

lì.

Intorno "ai" Tocco"  (le  ore  13)  fu chiesto

all'improvvisata servitù se preferivano partecipare al

banchetto o "tornare da mammà".

La risposta fu chiaramente il desiderio di tornare alle

proprie famiglie ed infatti i giovani furono lasciati

andare.

Quando i coloni Galletti e gli sfollati delle famiglie

Daddi, Dainelli, Del Maschio, Pettini e la famiglia del

fabbro dell'Olmo (detto  Nanni  Mena)  videro da

Montorsolino, dopo ore di osservazione, dalla casa "di'

Brucio" allontanarsi i loro quattro giovani gli corsero

incontro.

Gli alleati, probabilmente del poggio della Romita,

vedendo il movimento di persone forse lo scambiarono per

spostamento militare e cannoneggiarono immediatamente

gli sfortunati civili. Miracolosamente nessuno rimase

neanche ferito sotto il violento fuoco d'artiglieria e

tutti raggiunsero Montorsolino mentre peggiore sorte

toccò a diversi   olivi   completamente   divelti.

Probabilmente il banchetto non fu gustato in pace dai

tedeschi perchè nel primo pomeriggio abbandonarono

quella casa camminando in colonna verso la casa "di'

Catarzi" (Consigliano I)   ed  il castello   di

Montefiridolfi.

L'arrivo delle SS nella zona non passa inosservato

infatti in questa zona il bilancio delle vittime è

pesantissimo e ci sono state addirittura due fucilazioni
di popolazione inerme.

Fabbrica è vicina a Badia a Passignano, i cui boschi e

case coloniche, insieme alla zona di S. Donato in

Poggio, erano l'area di  azione della formazione

partigiana "Faliero Pucci". La vicinanza di partigiani

che avevano fatto sia atti di sabotaggio sia vere e

proprie azioni militari (3) probabilmente influisce

sugli episodi più aberranti che vi sono stati consumati.

Nel pomeriggio del 23 Luglio arrivò a Paterno un piccolo gruppo di tedeschi che trasportavano, con una scala come barella, un ferito grave per le prime cure. Questi soldati dissero ai civili lì presenti: "italiani


cattivi, fatto kaputt a camerata" indicando a sud, nella zona fra Badia a Passignano e Fabbrica, il luogo del ferimento. Questo fatto concorda con il ferimento di un tedesco vicino a Pratale, un gruppo di case coloniche nella zona indicata dai militari ma non è chiara nè la dinamica nè le motivazioni del ferimento (4). Gli stessi intimarono ai presenti di sfollare verso Firenze perchè lì stava arrivando la linea del fronte. La gente di Paterno invece decise di aspettare il passaggio del fronte nascondendosi in una casa ed in un rifugio sempre all'interno dell'abitato.

Uno dei tedeschi, che si era fatto cucinare per desinare una tacchina lessa dalla più grande delle sorelle Nuti, appena adolescente, probabilmente ne era rimasto soddisfatto e ritornò per la cena con un suo superiore ed alcuni conigli pretendendo lo stesso servizio del desinare.

Il coniglio lesso però non fu di gradimento dei militari che si arrabbiarono con la massaia -bambina. Intervenne a difenderla Ferdinando Vermigli (detto Nandino) con il risultato di fare inferocire quei prepotenti che minacciarono di fucilare Nandino.

Non è certo come la situazione fu risolta; forse la piccola massaia sacrificò l'oro che nascondeva in seno per ottenere una riconciliazione o forse fu esibito e preso in considerazione il lasciapassare concesso dal precedente distaccamento tedesco.

La sera del 23 fu piazzato un cannone ed il giovane Vittorio Giuntini, per paura di essere deportato, uscì dal rifugio per nascondersi nel vicino bosco in una buca che era stata preparata in precedenza e dove incontrò altri compagni.

Nella nottata, dal bosco, sentirono i movimenti delle truppe e del pezzo d'artiglieria in ritirata.

La mattina successiva si accorsero che Paterno era 1ibera dai tedeschi.

Sempre il 23 Luglio 1944, a Pratale, furono trucidate 12

persone.

Erano: Cresti Angiolino, Attilio e Oreste, Gori Bruno,

Giuseppe, Livio, Marcello, Omero e Serafino, Raspollini

Giovanni, Lotti Carlo e Giuliano che abitavano a

Fabbrica ma erano lì sfollati.

La ricostruzione di quei fatti, da parte delle vedove

non ha bisogno di commenti:

(...) "Durante il periodo di emergenza ci trovavamo assieme alle nostre rispettive famiglie sfollate in località Casalone. Fra noi vi era pure sfollato un certo (OMISS.) il quale stava continuamente in conversazione con tedeschi ivi dislocati; il suo atteggiamento alquanto ambiguo ed il susseguirsi di visite che egli faceva presso i Comandi tedeschi che si trovavano, uno in località Badia a Passignano, l'altro nelle fattorie di Fabbrica, ci diede motivo di sospettare che il suddetto fosse una spia dei tedeschi. Per queste considerazioni noi cercammo di evitare che il (OMISS) notasse la presenza nella casa dei partigiani che

_ e _


venivano abitualmente a rifornirsi da noi di viveri e a raccogliere informazioni. Circa una decina di giorni prima della Liberazione vennero a stabilirsi nelle vicinanze e come pure nella stessa casa dove erano sfollati diversi tedeschi, ai quali fummo obbligati a cucinare loro i cibi per diversi giorni. Il giorno 21 Luglio alcuni di questi tedeschi si presentarono alla casa accompagnati dal (OMISS) con tre paia di buoi. Uno dei tedeschi chiamò in disparte i contadini Gori e Cresti ai quali consegnò un paio di bovi per ciascuno, e l'altro paio lo consegnò al (OMISS). Il tedesco disse queste precise parole: "questi buoi li regalo a voi come compenso del disturbo che vi abbiamo dato, ma non dateli al (OMISS) perchè egli ne ha già avuti un paio e non è buono con voi". Nella giornata queti tedeschi partirono e ne vennero altri. L'indomani il (OMISS) si presentò al Gori Lino pretendendo che questi gli consegnasse uno dei buoi. Al rifiuto avutone egli pronunciò queste parole: "A me costa di più la camicia che la pelle". Il Gori Lino rispose: "a me non costa nulla nè l'una nè l'altra". Da quel momento non vedemmo più il sunnominato. L'indomani domenica 23 Luglio 1944 vedemmo la casa circondata da tedeschi e data l'immediata vicinanza delle truppe alleate non facemmo caso a questo schieramento di forze. Nella stessa mattina uno dei tedeschi chiese alla massaia Cresti Giuseppa un lenzuolo ed avutolo lo mise fuori del davanzale di una finestra dicendo che così gli alleati non avrebbero sparato sulla casa.

Noi stavamo tutti riuniti in una stalla dalle mura molto solide dove pensavamo di essere al sicuro ed attendevamo di essere inviati a Badia a Passignano, come era stato detto dagli stessi tedeschi. Sull'imbrunire irruppero nella stalla tre o quattro tedeschi armati di fucili mitragliatori, i quali ci intimarono di uscire tutti fuori senza darci nessuna spiegazione. Giunti che fummo sul piazzale della stalla essi ci intimarono di camminare avanti a loro in un bosco vicino. Giunti in esso uno dei tedeschi si staccò dac, 1 i altri e spostandosi un poco più in alto chiamò gli altri tedeschi rimasti nella casa. Al loro arrivo essi cambiarono subito atteggiamento e ci ordinarono aspramente a noi donne e bambini di separarsi dagli uomini e perchè la bimba Lotti Mirella di 10 anni si aggrappava al collo di suo padre gridando: "Non ci lasciare babbino, i tedeschi ti ammazzeranno" la colpirono con il calcio del fucile. La bimba svenuta fu presa dalla madre, la quale venne spinta a calci in mezzo alle altre donne. Dopodichè fummo avviate più in basso verso un fiumicello. Subito dopo sentimmo varie raffiche di mitraglia seguite da grida di dolore. Impossibile fu per noi donne rendersi conto di ciò che avveniva date le poche centinaia di metri che ci separavano dal centro della battaglia fra tedeschi ed Alleati. Lo spavento ci aveva inoltre tolta ogni possibilità di ragionamento. Dopo la violenta separazione dai nostri familiari rimanemmo tutta la notte nascoste nel bosco come inebetite. Verso l'alba sentimmo arrivare delle truppe e potemmo constatare che erano finalmente gli Alleati ed una speranza gioiosa


rianimò i nostri cuori; ma nel frattempo il grido di orrore di una delle donne che erano con noi e che si era poco prima allontanata ci piombò nuovamente nella disperazione. Accorremmo sul luogo ed uno spettacolo orrendo si presentò ai nostri occhi. Vedemmo un ammasso di corpi umani imbrattati di sangue. Tutti i nostri dodici uomini componenti le nostre quattro famiglie erano stati fucilati. Impossibile è descrivere le nostre sofferenze poichè sono al di là della comprensione umana. (...).

Rimangono da evidenziare invece alcuni fatti non esposti nella ricostruzione che, se possibile, rendono ancora più truce ma più vero e significativo il monito che ci viene da quei fatti.

Il lenzuolo bianco chiesto dai nazisti perchè così "gli alleati non avrebbero sparato sulla casa", come testimoniano le vedove, fu esposto dagli occupanti dal lato di Fabbrica, come se fosse un messaggio convenuto per il loro comando e non un segnale di resa per gli alleati.

A tutti i cadaveri dei fucilati fu rapinato il portafoglio lasciando le vedove senza neanche un soldo perchè, nello sfollamento, i capofamiglia si erano portati dietro tutti i loro averi.

Dalla domenica a tarda sera i corpi dei fucilati rimasero nel boschetto della strage tutto il lunedì 24 perchè Pratale e Fabbrica erano proprio le sponde su cui si fronteggiavano accanitamente i due eserciti e la rimozione fu possibile solo il martedì mattina.

Il corpo di Giovanni Raspollini fu trovato distante dagli altri. Non è probabile l'esecuzione separata «a sembra che il giovane, con la forza di chi capisce che non ha più niente da perdere, sia riuscito a sfuggire ai carnefici correndo nel bosco.

Disgraziatamente nel viottolo, imboccato correndo a più non posso, andò ad imbattersi nei tedeschi che stavano tornando dal piantonamento delle donne. Questi, vedendoselo piombare incontro lo freddarono sul posto. Bisogna considerare che la strage è avvenuta nel periodo più caldo dell'anno e che "l'ammasso di corpi u»ani imbrattati di sangue" era irresistibile richiamo degli insetti, favoriti anche dall'interminabile periodo che i corpi sono rimasti all'aperto nel bosco. Anche se non è possibile rendersene conto appieno, si può così meglio comprendere le difficoltà morali, pratiche ed igieniche dei misericordiosi che li prelevarono e li trasportarono al cimitero di Badia a Passignano con due carri (sei corpi per carro) trainati proprio dalle coppie di buoi che i Gori ed i Cresti avevano avuto dai tedeschi.

Durante il percorso il triste corteo incontrò (OMISS.) che ebbe da dire: "se non ci fosse sopra quelli che ci sono, gli ammazzerei ora codesti bovi". La crudele uscita era degna di considerazione visto l'ambiguo comportamento dell'individuo ed il fatto che egli era sempre stato armato di una pistola.

Non risulta che nei suoi confronti siano stati, neanche iniziati procedimenti giudiziari.


All'approssimarsi della linea del fronte i tedeschi fecero saltare la carica posta sulla strada d'accesso al paese di Fabbrica (vd. cartina - T -) vicino al campo minato mentre le tre mine poste di fronte alla casa Lotti (vd. cartina - U -) non furono fatte saltare o comunque non esplosero.

La mattina del 24 Luglio gli sfollati a Montorsolino, a cui si unirono alcuni della famiglia Catarzi, prepararono delle bandiere bianche e le sventolarono verso la Romita. Intorno a mezzogiorno delle avanguardie alleate (Neozelandesi e Canadesi) raggiunsero a piedi quelle case risalendo dalla Pesa. Questi chiesero dove fossero i tedeschi e gli fu indicata la zona di Montefiridolfi. Via radio la squadra riferì al proprio comando e ritornò sui propri passi.

Invece, pochi chilometri più a sud, purtroppo, c'erano ancora delle SS.

Nel pomeriggio del giorno successivo la strage eli Pratale, (cioè il 24 Luglio) in una casa dove erano sfollati dei contadini di Fabbrica entra una squadra di SS.; cercavano tutti gli uomini.Alcuni, prima del loro ingresso riuscirono a dileguarsi passando da una finestra ma Vermigli Giuseppe (65 anni), Viviani Carlo (59 anni), Bartalesi Brunetto (34 anni), Viviani Bruno (21 anni ) furono trovati in casa ed immediatamente condotti sul cocuzzolo che si trova di fronte al viale che porta a Fabbrica. Il giovane Varis Viviani di 12 anni invece fu giudicato troppo giovane e rimandato fra le donne a forza di pedate nel sedere. Portarono gli uomini fino ad una fornace (oggi abitazione) dove li allinearono e li fucilarono (vd. cartina -V-). Viviani Carlo (detto Nanni di' Gallo) fu ferito di striscio alla testa ed alle mani che teneva incrociate sulla nuca e la fede nuziale contribuì a deviare la pallottola. Egli fortunatamente riuscì a fingersi morto fra i compagni ormai spenti anche quando le SS tirarono dei calci per controllare i risultati dell'esecuzione. Dopo che i nazisti se ne furono andati Nanni di' Gallo , anche se gravemente ferito ed in stato confusionale, trovò la forza di cercare segni di vita fra i corpi dei compagni di sventura e di chiudere gli occhi al giovane nipote Bruno prima di riuscire a ritornare nella casa dove era stato fermato, presentandosi ai suoi in una maschera di sangue (5).

Nella notte arrivarono gli alleati.Due avanguardie neozelandesi saltarono in aria, sotto gli occhi dei fabbrichesi, sullo stesso campo minato (vd. cartina -S-) che aveva provocato la morte di Landi Emilia.

La mattina seguente, appena giorno, usando delle scale

come barelle, i tre corpi dei civili trucidati furono

portati alle rispettive case ormai libere.

Due giorni dopo il rastrellamento, il 26, ci fu il

funerale nella chiesa di Fabbrica, dopo di che le bare,

grossolanamente preparate, furono portate nel cimitero

parrocchiale.

Nanni di' Gallo anche se sopravvisse, rimase scioccato e

morì dopo 4 anni.

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Passato il fronte, quando fu possibile rientrare, i contadini Galletti di Fabbrica trovarono nella loro casa il cadavere di un tedesco, morto da qualche giorno, composto su una porta sfilata dai cardini. Egli fu probabilmente deposto dai suoi camerati che, nell'impossibilità di trasportarlo per lunghe distanze,

10 portarono nella casa deserta per non lasciarlo
all'aperto.

Non è facile essere precisi sulla località e causa della morte di questo militare ma è probabile che sia avvenuta "al masso" (vd. cartina -W-) per cause belliche (cannonate) ma non per azione partigiana (6).

Bisogna tenere presente che la zona in quei giorni fu centro dei combattimenti; addirittura gli alleati, risalendo dalla Sambuca verso Fabbrica e pensando che ancora il comando tedesco fosse lì attestato, tornarono indietro, mentre invece era già stato evacuato; quindi il borgo di Fabbrica, rimasto terra di nessuno, fu fatto segno dalle artiglierie di entrambi gli eserciti.

11 cannoneggiamento causò danni a tutto l'abitato e
specialmente alla villa con il suo torrino a belvedere
che successivamente fu riabbassato di circa 5 metri fino
al livello attuale.

A testimoniare ancora oggi la violenza del cannoneggiamento rimane la porta della fattoria, su cui si intuiscono facilmente i fori delle schegge nonostante la riparazione a regola d'arte ed anche l'inferriata, della vicina finestra, visibilmente danneggiata, in cui il ferro sembra morsicato.

Lo sminamento fu eseguito dai genieri alleati e si protrasse per settimane. Le mine raccolte venivano fatte brillare nelle vicinanze del paese tanto che anche gli ultimi vetri dell'abitato andarono in frantumi. Un episodio singolare capitò al colono Zelindo Mariani il quale trovò nel campo due belle "piastre" (predelli) di metallo di ragguardevoli dimensioni. Pensò che potevano tornargli utili, quindi le raccolse e le portò a casa piazzandole nel "canto di' foco". La natura di quelle "piastre" fu chiarita dagli sminatori dopo che, vedendoli casualmente, ringraziarono Dio che era estate ed il focolare era rimasto spento. Infatti nel "canto di' foco" c'erano due potentissime mine. La villa di Fabbrica che era stata sede del comando tedesco, dopo la liberazione, diventa punto di smistamento delle truppe alleate per diversi mesi. A conferma di ciò si ricorda che il cambio alleato della prima linea vestiva l'uniforme mimetica bianca. Si accamparono, anche se per un tempo limitato, anche sulla strada che collega Sambuca alla Cassia (vd. cartina -X-) ed a Paterno.

Inoltre nel piano del fiume Pesa di fronte a Fabbrica fu preparato un campo di aviazione leggera per aerei da ricognizione (le cicogne).

Il centro di smistamento ed il campo di aviazione operarono per tutto l'inverno fino allo sfondamento della "linea gotica" sugli appennini.

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Piantina zona Montefiridolfi




Legenda abbreviazioni usate nella piantina di montefiridolfi


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2. IL PASSAGGIO DEL FRONTE A MONTEFIRIDOLFI

Già nel gennaio del 1944 i montigiani ebbero un assaggio di ciò che significasse la guerra: sul paese venne ingaggiato, circa alle dieci di una limpida mattina un duello aereo fra 3 caccia tedeschi e 4 o 5 alleati di scorta ad uno stormo di bombardieri, che, dal sud, dalla direzione di Poggibonsi, si dirigevano verso Firenze e Pontassieve, importante nodo ferroviario.

I caccia tedeschi volavano a bassa quota mentre
quelli alleati erano molto pi
ù alti. Fu la scorta allo
stormo di bombardieri che attacc
ò con una picchiata gli
apparecchi della Luftwaffe.

I piloti si affrontarono con spettacolari acrobazie e le
fiammate dell'armamento di bordo furono facilmente viste
da terra anche se in pieno giorno.
I bossoli sparati
ricaddero in pi
ù posti.

Uno degli aerei tedeschi fu colpito e faceva una scia di fumo; nel tentativo di salvarsi il pilota sganciò un serbatoio ausiliario di carburante che cadde fra la casa colonica Travignole e la casa colonica "di' Bini" (Zona di S. Gaudenzio).

Priamo "di Nappe", che stava lavorando i campi vicino alla zona dello sgancio, lo scambiò per un'enorme bomba che gli stava piovendo accanto e dalla paura si sentì male. Il serbatoio era affusolato e si era conficcato nel terreno. Dalle lamiere contorte il colono Guido Lapini riuscì a recuperare un pò di carburante, poco dopo arrivarono i Carabinieri di Mercatale, anche loro spettatori del duello, che requisirono la benzina rimasta.

II caccia colpito andò a schiantarsi nella valle del
Virginio fra S. Pancrazio e Fornacette mentre il pilota
riusc
ì a salvarsi paracadutandosi.

I fascisti di San Casciano, pur essendosi accorti del duello, non riconobbero le insegne dell'aereo abbattuto e si recarono festosi nella zona dell'impatto al suolo, indicata da una colonna di fumo, ma rimasero delusi nel trovare pilota ed aereo tedeschi.

II primo apparire dei tedeschi in ritirata fu vissuto
con un genuino, quanto puerile gesto di ribellione.

Due di loro, provenienti da un distaccamento all'Olmo, risalirono a Montefiridolfi, per rastrellare generi alimentari. Vittima della loro prepotenza fu Giovanni Benelli, che, però, trovandosi nell'impossibilità di soddisfare le richieste, ingaggiò una discussione alla quale i nazisti replicarono minacciandolo di morte. Disperatamente tutta la famiglia Benelli, con urla, richiamò l'attenzione della popolazione che in quel momento drammatico accorse immediatamente. In special modo Francesco Verdiani, Adelindo Bagnoli, Ermanno Francolini ed altri, che erano anche muniti di armi improprie (7) e decisi a replicare alla forza se necessario, riuscirono a dissuadere i tedeschi dal loro intento, facendo capire l'impossibilità delle loro richieste ed anche la poca salute del Benelli (8). Via dell'Olmo, teatro di questi fatti, era piena di gente, e ciò probabilmente incrinò la sicurezza dei

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nazisti che se ne andarono minacciando però di ritornare per fare "kaputt" a tutto il paese. Quella notte a Montefiridolfi non fu una delle solite serate estive, perchè non era uscito nessuno a prendere il fresco, tranne un gruppetto di giovani fra cui: Luigi Alfani (detto Fosco di' Tassino), Loris Lotti e Silvano Pucci, che aveva una vecchia pistola a tamburo e soltanto 5 proiettili. Essi con spirito di una ragazzata aspettavano i nazisti, con l'intenzione di resistere o, perlomeno, di dare l'allarme. A notte inoltrata ancora era tutto calmo ed a questi ragazzi venne l'idea di un discutibile scherzo che realizzarono sparando in aria dei colpi con la pistola del Pucci per impaurire i montigiani, che risposero dalle loro case con un concerto di rumori come per barricare porte o correre in posti sicuri, solo "i' Prussiano" (Guido Pagliai) non si scompose. I tedeschi non vennero. Probabibmente i due giovani soldati un pò perchè erano brilli, un po' perchè la loro doveva essere più un'azione individuale, che un servizio comandato, o non riferirono il fatto o non furono presi in considerazione.

Nel piazzale della Pieve di S. Stefano a Campoli, per la festa del Corpus Domini ( giugno) un aereo alleato staccatosi dalla scorta di uno stormo di bombardieri mitragliò i presenti provocando il leggero ferimento della giovane Rina Dainelli alla coscia. Inoltre fu danneggiata la copertura del loggiato della chiesa e provocato l'incendio del pagliaio della adiacente casa colonica. La causa o il bersaglio dell'incursione non sono chiari. Solo il cinismo del pilota giustificherebbe l'attacco di un assembramento di persone davanti alla Pieve, più probabilmente l'obbiettivo era una autovettura, una balilla, che in quel momento stava sopraggiungendo da Mercatale (9).

Un distaccamento tedesco proveniente da S. Donato in Poggio, dove era già arrivata l'avanzata alleata si era dislocato a "Bardino" (vd. cartina -A-) nelle case vicine al frantoio della fattoria di Montefiridolfi (presso la villa Rosselli Del Turco). Si trattava di pochi uomini, una dozzina circa, più alcuni altri, che in piccolissimi gruppi (3/5 uomini) si erano accasermati in quasi tutte le case coloniche intorno al paese. Nella villa Rosselli funzionò per qualche tempo un ospedale da campo tedesco. Anche il paese, e precisamente la corte e le stanze vicine erano occupate (vd. cartina -B-). Nella corte fu installata una cucina da campo e nella bottega del falegname Sani una base radio, probabilmente perchè la colombaia sovrastante è l'edificio più alto dei dintorni.

Il distaccamento aveva diversi mezzi e perlomeno due carri armati. Questi militari setacciarono la zona in cerca di generi alimentari, specialmente galline, bovini e suini, ma anche patate, uova, vino, ecc., oltre ai disertori dell'esercito italiano e giovani atti al lavoro.

Oggetto di frequenti attenzioni da parte tedesca erano i cascinali dei mezzadri, che da parte loro si ingegnavano con sotterfugi a nascondere le loro dispense, questi,

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per spiegare la mancanza di viveri, dicevano di essere già stati razziati precedentemente (10). I bovi requisiti furono ammassati a "Bardino" per essere mandati ali'Impruneta, più precisamente a Mezzomonte. Prima di essere spediti (l'8 giugno), uno dei bovi di Dei Alfredo, ruppe i legamenti, e passando di piazza, ritornò alla sua stalla (vd. cartina -C-). Alfredo si stava organizzando per portarlo alla macchia, quando arrivarono tre tedeschi che, senza mezzi termini, ripresero il bove e minacciarono il mezzadro con la pistola alla gola. La madre di Alfredo, Isola Salvini Dei, assistendo alla scena dal pianerottolo in cima alle scale di casa, si sentì male, cadendo sul pianerottolo stesso. I tedeschi se ne andarono col bove, ma Isola, soccorsa dal figlio, non riuscì a superare lo shock e morì tre giorni dopo.

La malcapitata non ebbe pace neanche da morta perchè durante il trasporto, dalla sua casa alla chiesa, attraverso i campi, la piccola processione dei parenti più stretti che seguivano il feretro, trasportato a spalla, fu avvistato da aerei alleati. Questi si gettarono in picchiata per controllare, ed eventualmente attaccare, il modesto assembramento che, dall'alto, poteva sembrare una colonna in marcia. I parenti dovettero buttarsi a terra ed altrettanto toccò alla bara della povera Isola.

Il 16 Giugno nel "Pian del Melograno", il Tenente Tenner rischiò troppo con il suo spitfire per mitragliare un camion tedesco; infatti si abbassò tanto da spuntare un cipresso danneggiando l'aereo. Con un atterraggio di fortuna il pilota della R.A.F. riuscì a toccare terra nei pressi della Villa Goretti (Villa Palagio). I campolesi lo soccorsero e lo nascosero (specialmente le famiglie Mecacci e Ciapetti). Successivamente fu accompagnato verso S. Donato dove aspettò la liberazione con la formazione partigiana "Faliero Pucci".

In quei giorni al Castello (vd. cartina -D-), che allora era abitato da diverse famiglie, mentre un gruppetto di persone era riunito all'ingresso proprio di faccia al viottolone, sopraggiunse un camion tedesco. Istintivamente queste persone, che avevano imparato a conoscere i nazisti, si tolsero dalla circolazione ed in un fuggi fuggi generale rientrarono tutti nelle case, tranne Lotti Loris, che dal cancellino, ancor oggi esistente, passò in "Ragnaia" (un boschetto adiacente al castello). Probabilmente i nazisti che avevano imboccato il viottolone videro Loris che scappava e, quindi, appena giunti corsero con le armi spianate dietro al fuggiasco, fino alla fine del boschetto. Il giovane, che si era acquattato dietro una pianta vicino all'ingresso, non appena furono passati vicino a lui, uscì dalla "Ragnaia" nella direzione opposta andando a nascondersi in un cespuglio di rovi non molto lontano (vicino al viaio). Ispezionata la "Ragnaia" senza esito, i tedeschi perquisirono tutte le abitazioni e questo fece sì che nella casa del Piero Panichi, guardia di fattoria, fossero trovate delle cartucce per fucile

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da caccia.

In quel periodo era vietato a chiunque detenere armi ed egli aveva consegnato il fucile ai Carabinieri; però altri due li aveva nascosti sotto le tegole del tetto. Il porto d'armi del Panichi, proprio quel giorno era stato portato dal marchese PierFrancesco Rosselli del Turco, proprietario della fattoria, a Firenze per vidimare e quindi il Panichi aveva solo un'apposita fascia bianca, rilasciata dalle autorità, ad attestare il suo titolo di guardia giurata di fattoria che però fu presa poco in considerazione. Inoltre erano state trovate cartucce di diversi calibri ed egli non riuscì a spiegare che col solo fucile consegnato (di cui aveva la ricevuta) avrebbe potuto sparare entrambi i calibri mediante l'uso di un riduttore. I tedeschi, già insospettiti dalla fuga del giovane, non misero tempo in mezzo ed in malo modo rastrellarono gli uomini che trovarono, ed erano, oltre al Panichi, Luigi Casulli, Adolfo Toti, Ugo Castrucci, Giuseppe Bagni, Livio Mecacci, Guido Lotti ed anche il marchese Rosselli del Turco che al ritorno da Firenze, visto il camion, aveva pensato di portare subito il porto d'armi vidimato al guardia e fu direttamente sbattuto sul mezzo che li portò a Fabbrica. Giunti al comando tedesco, le versioni sul modo in cui fu spiegato ai tedeschi la questione del riduttore e che non si trattava di partigiani, sono un po' confuse. Si parla di una signora di lingua tedesca (austriaca) che lavorava dai marchesi Antinori, come bambinaia, ed insegnante di madrelingua a fare da interprete, come pure può essere stata una donna italiana, di facili costumi, al seguito dei nazisti; più probabilmente il fattore di Fabbrica Alfredo Conti ed altri che avevano la fiducia dei tedeschi, garantirono per i malcapitati ad un capitano che capiva la nostra lingua.Forse hanno fondamento tutte le versioni e con questo corale chiarimento si è evitata una strage perchè, per intimidazione, questi uomini furono anche allineati al muro simulando una fucilazione. La situazione fu risolta in qualche ora e gli otto montigiani furono rimessi in libertà.

L'insegnante di lingua tedesca intervenne anche in un altro episodio, se possibile, ancora più drammatico accaduto a Bencini Nello, Orlando, Gino e Fagioli Olinto che furono arrestati nella zona di S. Gaudenzio.

Nel primo pomeriggio di un giorno intorno al 10 Luglio 1944 i quattro coloni e le donne di famiglia stavano segando il grano in un campo del podere Travignole nei pressi del torrente Terzona.

Nella vicina villa Manetto era acquartierato un nutrito distaccamento tedesco con alcuni fascisti repubblichini. Mentre alcuni soldati stavano raccogliendo delle patate, in un campo del versante che guarda verso S. Gaudenzio, notarono un uomo (sembra della famiglia Gamannossi), che si spostava nella campagna e gli intimarono l'altolà. Questi era uno dei tantissimi disertori dallo sfacelo dell'esercito italiano dell'otto settembre che, dal Ferrone, dove abitava, era stato a trovare amici o parenti nella zona

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della Sambuca (forse Tavarnelle) e stava facendo ritorno a casa.

Il fermo da parte tedesca, per lui, significava la sicura deportazione in Germania (vedi allegato 5), quindi il giovane tentò la fuga scappando verso la vallata del torrente Terzona. I militari reagirono immediatamente con raffiche di mitra ma non riuscirono a fermarlo. In un'istante la zona brulicò di tedeschi ed una mitragliatrice pesante (la famosa Spandau), piazzata in un punto dominante sulla vallata, aprì un fuoco di sbarramento nella direzione presa dal disertore. Lungo questa direttrice si trovarono anche i mietitori, il giovane, correndo, gli passò in mezzo e riuscì a dileguarsi, mentre gli altri furono immediatamente notati e fatti bersaglio della mitraglia. Già la prima raffica fece volare via viti, sassi e polvere mentre i Bencini ed il Fagioli si buttavano a terra. Gli inseguitori gli furono subito addosso e, convinti che fra loro ci fosse il fuggitivo, decisero la fucilazione immediata degli uomini.

I malcapitati cercarono di convincere i tedeschi, spiegandosi come potevano, che non erano partigiani ma stavano invece producendo alimenti utili anche agli stessi occupanti. Inoltre le donne, anche se allontanate in malo modo, ritornavano accanto agli uomini insistendo sulla loro estraneità a qualsiasi tentativo di fuga.

Richiamati da quelle grida alcuni delle famiglie Piazzini e Galassini (del podere Poggetto fra Montefiridolfi e Manetto) si affacciarono dal crinale per capire cosa stesse succedendo in Terzona e compresa la situazione, si ritirarono sulla strada per discutere il da farsi.

In quell'istante dalla curva sbucarono dei tedeschi provenienti da Manetto. Questi, appena videro l'assembramento spararono dei colpi (probabilmente in aria perchè non ci furono feriti). I civili corsero nella loro vicina casa, o meglio nella casa "di' Galassino" che, nello stesso stabile, aveva l'ingresso dalla parte opposta della strada.

In un attimo i militari arrivarono a quello stabile e volevano farsi aprire la porta sul davanti a cui però corrispondevano le stanze lasciate vuote dai Piazzini. Non ricevendo risposta all'ordine di aprire fecero saltare la serratura della porta d'ingresso con colpi d'arma da fuoco ma non vi fecero irruzione perchè nel frattempo altri loro camerati avevano fatto il giro dello stabile e avevano trovato tutti i civili nella casa della famiglia Galassini che li stavano aspettando con la porta aperta.

Furono controllati i documenti di tutti ma trovati in regola e perciò non ci furono conseguenze. Intanto in Terzona l'effetto del drammatico diverbio fu la sospensione della fucilazione e la decisione di portare gli uomini al distaccamento di villa Manetto. Durante il trasferimento i prigionieri dovevano camminare in fila tenendo le mani sulla nuca e furono bersaglio di pedate e violenti colpi con il calcio del fucile.

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Villa Manetto fu appena sfiorata dalla colonna per proseguire verso il comando di Fabbrica dove furono imprigionati e guardati a vista nei magazzini del grano della fattoria (vd. cartina Fabbrica -z-). Poco dopo i prigionieri furono chiamati, uno alla volta, in un'altra stanza ed interrogati alla presenza di 2 ufficiali dell'SS e di un interprete. I nazisti cercarono di mettere in contraddizione ciascun colono con gli altri con pesanti minacce; mostrarono anche una pistola ed un pugnale affermando che quelle armi erano state trovate addosso ad uno di loro quattro e chi avesse confessato l'identità del fuggiasco avrebbe fatto ritorno a casa. Ma tutti risposero la verità, cioè che quelle armi non le avevano mai viste e che nessuno di loro le aveva mai avute. Dopo l'interrogatorio i quattro furono riuniti e riportati nei magazzini.

In quei drammatici momenti il Fagioli offrì ai suoi compagni di consegnarsi come l'autore della fuga ma gli altri non accettarono.

Nel frattempo le donne erano corse a casa ad avvertire dell'accaduto e Guido, padre dei fratelli Bencini, andò a chiedere aiuto a Cesare Bini che, a sua volta, corse dal marchese Antinori. Il marchese disse che non poteva intervenire direttamente ma mandò la signora di lingua tedesca al conte Piatti, proprietario di Fabbrica, con l'ambasciata che i Bencini ed il Fagioli erano coloni dell'Antinori (anche se non vero!) e che erano solo persone tranquille e laboriose. Probabilmente la bambinaia ed il Conte Piatti riuscirono a far rimandare ancora la fucilazione e convinsero gli ufficiali ad eseguire un sopralluogo sul posto che fu eseguito la mattina successiva.

Dopo aver passato la notte insieme ai loro carcerieri i malcapitati furono prelevati, poco prima di mezzogiorno, dal magazzino ed allineati contro un «uro. Il plotone di esecuzione, due soldati per ogni prigioniero, si preparava già con il colpo in canna e l'ufficiale con la pistola in mano, stava per ordinare l'esecuzione quando il conte Piatti si interpose fra plotone e condannati. Il conte Piatti fu spinto via ma si rigettò ancora nel mezzo chiedendo all'ufficiale la liberazione degli ostaggi ed insistendo fino ad ottenerla.

Il primo ad essere rilasciato fu il più giovane, Orlando Bencini di 16 anni; quando l'ufficiale lo liberò gli fece intendere: "saluta il plotone e vai" ma il giovane non conosceva saluti militari ed era troppo spaventato per pensare ad altro che allontanarsi dal muro. Anche gli altri furono liberati ad intervalli di poche decine di minuti.

I quattro raggiunsero le loro famiglie, a Travignole nel primo pomeriggio.

Non è certo ma sembra che il militare della Wehrmacht che aveva fermato i Bencini ed il Fagioli nel campo in Terzona non fosse di origine tedesca ma un detenuto francese (ergastolano?) che era al fronte per riscattare la propria libertà alla fine della guerra. Un'importante azione come la cattura di un gruppo di partigiani italiani avrebbe potuto essere ricompensata dalle autorità militari ■ tedesche con la libertà

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immediata. Queste notizie sembra provengano dalla signora di lingua tedesca e pertanto affidabili.

Molti montigiani avevano trovato sicuro riparo dai cannoneggiamenti alleati dietro gli imponenti muri della cantina del castello, dalla parte della "Ragnaia". In questo rifugio per qualche settimana erano sfollate un centinaio di persone e per vettovagliare tanta gente alcuni dei pochi capi rimasti nelle stalle o nascosti alla macchia furono macellati.

Già dal Giugno erano stati minati il ponte sulla Terzona vicino alla fonte dei Medici ed il ponte detto "di' Bino" fra San Gaudenzio e Villa Belvedere con delle cariche, che avevano la forma di un panettone, poste sotto le arcate. A presidiare il ponte vicino Villa Belvedere furono incaricati due militari della IV Divisione Paracadutisti (11) che si erano accasermati nella vicina casa colonica della famiglia Bini. Come chiunque aveva potuto anche quella famiglia aveva nascosto alla macchia le proprie bestie; vista la stalla vuota, i paracadutisti, per "contraccambiare" l'alloggiamento e per il loro sostentamento portarono, a più riprese, due coppie di buoi, una mucca ed alcune pecore rastrellate ad altri agricoltori. I due militari instaurarono un rapporto amichevole con quella famiglia tanto che questa decise di riportare nella stalla le loro due coppie di buoi già nascoste alla macchia. Nei giorni immediatamente prima del passaggio del fronte i Bini lasciarono vuota la loro casa per spostarsi nella vicina casa colonica Travignole ed aspettare la liberazione in un rifugio, ricavato nelle cantine, insieme alle famiglie Bencini e Santucci.

A Montefiridolfi nell'ultima settimana, prima       del

passaggio del fronte, gli occupanti irruppero          nel

rifugio e fecero evacuare i civili per alloggiare loro
stessi al riparo.

Nel podere Consigliano 1° (detto anche Catarzi), fattoria di Fabbrica ma vicino a Montefiridolfi, c'erano due cannoni tedeschi che furono avvistati da una cicogna (aereo da ricognizione) che probabilmente indirizzò il tiro alleato verso questa batteria provocandone l'annientamento e la morte di un artigliere che però non doveva trovarsi di servizio al pezzo, ma a spennare un papero (12).

Per rallentare l'avanzata alleata i guastatori tedeschi rastrellarono alcuni montigiani e li costrinsero a scavare delle profonde buche e poi a sistemarci l'esplosivo che era costituito da "saponette" (tritolo) e da "candele scure" (probabilmente dinamite) con l'innesto a miccia. La buca in Via Collina fu scavata da Bengasi Fanfani ed in Via dell'Olmo da Francesco Verdiani.

Dal sabato 22 luglio, arrivarono in paese altri tedeschi. Nei giorni successivi si vive l'atmosfera della prima linea con frequenti cannoneggiamenti. Gli

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occupanti si preparavano a resistere intorno al nostro paese ed oltre ai campi minati (vd. cartina - M -j - P -) già da qualche giorno, avevano predisposto, servendosi di manodopera rastrellata in paese, delle piccole trincee per nidi di mitragliatrice (vd. cartina -E-); infatti Montefiridolfi, come si rileva dalle carte topografiche tedesche (O.B. 23 VII 4 - Karte Nr. 17, presso I.S.R.T.), si trovava proprio sulla linea difensiva denominata Heinrich inoltre il settore di fronte intorno al nostro paese era difeso dalla 14° armata della Wehrmacht più precisamente con la 4° FALLSCHIRM - JAGER - DIVISION (paracadutisti). Sulla linea Heinrich sono anche le trincee fatte scavare alla famiglia Galassini in "Poggiona" e poi ancora oltre nella zona del ponte "dì Bino" e verso ovest sulla collina "di' Pante" (Podere Campucci). Di fronte alla casa colonica del Calosi (vd. cartina -F-) fu piazzata una mitragliatrice contraerea ed un cannone sull'aia del Dei. Altri due cannoni furono piazzati vicino alla casa "di' Fuso" (fra la villa Rosselli del Turco e podere Poggetto).

Già la notte del 23 furono fatti saltare i ponti precedentemente minati. Il ponte sulla Terzona, vicino alla fonte dei Medici, fu seriamente danneggiato e quello "di' Bini" completamente distrutto. Anche l'importante ponte sulla Pesa, in località Pontenuovo ed il ponte sul borro delle Tane furono fatti saltare per interrompere la Via Cassia, una delle principali arterie di comunicazione nazionali.

Una batteria di cannoni tedeschi operava in Via Petigliolo (Pitigliolo) all'altezza della pineta (Podere Castagnola) ma fu avvistata da una cicogna che vi indirizzò il fuoco alleato povocandone l'annientamento. All'Olmo erano accasermati diversi militari tedeschi ed il fienile era stato utilizzato come deposito munizioni. Nell'impossibilità di trasportare rapidamente il materiale bellico fu preferito far saltare il fienile con il suo contenuto disseminando tutt'intorno i codoli con le alette dei proiettili di mortaio.

La mattina del 24 Luglio Gino Bini e la moglie Emma uscirono dal rifugio di Travigliole per accudire le bestie rimaste nella loro non lontana stalla. Non è chiaro perchè Gino Bini si affacciò in un punto da cui si vede il bosco detto "del Brandese" (forse per osservare la situazione) però questa esposizione lo fece segno ad un colpo di fucile o carabina di precisione che, dal bosco nella collina di fronte, lo raggiunse alla spalla destra e lo fece cadere, ferito a morte, sotto un pero.

La moglie, resasi conto dell'accaduto, chiese aiuto ai presenti nel rifugio, che accorsero, ma non poterono fare altro che comporre il Bini nella sua camera da letto (13). Poco dopo un gruppo di tedeschi arrivò alla casa e rastrellò tutti i presenti che erano: Bini Tonino, Mario Giocondo ed Emma moglie del caduto, Santucci Stefano, Rosa, Giuseppe e Clementina. Sotto il controllo dei militari il corpo dello

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sfortunato agricoltore fu trasportato nella Chiesa di S. Gaudenzio ed il catafalco fu ricavato da due panche accostate di fronte. Gli uomini del gruppo dei rastrellati furono portati nel vicino bosco "del brandese" e costretti a scavare delle trincee mentre le donne furono mandate nella vicina casa della famiglia Forconi a poca distanza da Campoli.

Nella nottata, circa a mezzanotte, i malcapitati nel bosco si accorsero che non c'erano più sentinelle a controllargli e poterono ritornare al rifugio di Travignole da dove venivano.

Tra Montefiridolfi e Manetto, nella casa dei coloni Piazzini e Galassini (podere Poggetto) con gli sfollati, erano circa 40 persone. Fra queste c'era anche Guglielmo Bertelli un anziano scapolo che abitava a poche centinaia di metri da lì con la famiglia Rigacci nella casa poco prima "di' Forconi", nelle vicinanze di Villa Manetto.

Il 24 Luglio, intorno alle 7 di sera, Guglielmo manifestò l'intenzione di andare a governare i suoi conigli. Gli altri sfollati lo sconsigliarono e Eugenio Piazzini gli impedì di uscire dalla porta di casa sua per fare uno spostamento così pericoloso. Ma il testardo colono passò da un'altra porta e non lo videro ritornare. Un'esplosione lo ferì gravemente ma lui riuscì a trascinarsi nella sua vicina casa, dove, però, morì, probabilmente dissanguato.

La sera del lunedì 24 Luglio è il momento cruciale del passaggio del fronte nella zona di Montefiridolfi e coincide con la festa di Santa Cristina patrona del nostro paese.

In quelle ore era in corso un'avanzata alleata con duri scontri sui crinali delle Quattrostrade e della Romita che presupponeva un'accerchiamento dei reparti attestati per resistere sulla nostra collina; questo provocò l'ordine di ritiro immediato verso San Casciano. La repentina ritirata risparmiò a Montefiridolfi la stessa sorte di tanti paesi e città dove, per sfondare la linea, fu distrutto gran parte dell'abitato.

Nella nottata i tedeschi evacuarono completamente la frazione portandosi dietro diversi fascisti repubblichini.

Poco prima dell'alba i guastatori tedeschi fecero saltare le mine poste sulle vie di accesso al paese provocando delle voragini che sbarravano completamente il passo (vd. cartina -G-). In Via Collina l'esplosione demolì praticamente anche la vicina officina dell'artigiano Bagnoli e fu tanto violenta che l'incudine da fabbro (che era stata messa sopra la mina), sorvolando il caseggiato, sulla piazza, ricadde su una casa in piazzetta (vd. cartina -H-), sfondando due piani. Solo la mina posta in Via dell'Olmo non esplose (vd. cartina -I-); perchè gli abitanti si erano accorti che nella buca dove era stata collocata la carica sfociava lo scarico di un acquaio e pertanto, versando acqua, riuscirono ad allagarla e renderla inutilizzabile. Dopo le detonazioni, Castrucci Arturo e

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Calosi Maria, andarono imprudentemente a controllare le condizioni della casa del Castrucci, posta a pochi metri dalla mina inesplosa e furono mitragliati dai nazisti ancora intenti a far brillare l'ordigno. Castrucci Arturo fu ferito ad un braccio, ma riuscì a raggiungere casa Dei dove fu medicato dalle donne.

Nella limpida mattina del 25 luglio 1944, martedì, intorno alle ore 10 arrivarono i primi esploratori alleati fra la festosa accoglienza dei montigiani. Erano truppe del Commonwealth Britannico (neozelandesi ed indiane), aggregate alla V armata americana e sotto la direzione del Generale Alexander comandante delle forze alleate nel Mediterraneo.

La colonna fu fermata prima che arrivasse in paese perchè i tedeschi in ritirata avevano predisposto dei campi minati dove gli alleati dovevano passare per evitare le voragini sulla strada.

Per facilitare l'avanzata i montigiani si adoperarono per ricoprire la voragine posta vicino alla villa Rosselli del Turco trasportando dal paese assi e legname, mentre i militari spingevano terra nella buca; in qualche ora ripristinarono il passo.

Arrivati in piazza, per evitare la voragine provocata dalla esplosione della mina, all'inizio di Via S. Anna, fu abbattuto un muro (vd. cartina -L-) e per far ciò fu usata una ruspa (14).

Gli alleati continuarono ad avanzare e nel pomeriggio arrivarono fino alla Terzona, dove furono sbarrati dal cannoneggiamento nemico, proveniente dal Poggio della Fornace e poggi vicini. Così contrastati per rispondere al fuoco, tornarono indietro da "Manetto", perchè da lì si può vedere bene la "Fornace". Probabilmente questa artiglieria, guidata dagli avvistamenti della cicogna, riuscì ad infliggere gravissime perdite (15) alle retroguardie tedesche, nel piano della Terzona, vicino alla cappella di S. Anna (ai piedi dell'omonima salita).

Due giorni dopo, con l'appoggio di circa sei cacciabombardieri che martellarono la Fornace (16), furono annientate le batterie dei tedeschi che in questi combattimenti persero molte altre vite. Gli alleati continuarono così la loro marcia verso Firenze.

Le colonne militari in avanzata continuarono per diversi giorni a transitare dalla frazione, con evidente spiegamento di mezzi e di uomini probabilmente perchè questa direttrice era preferibile alla troppo esposta Via Cassia.

Come abbiamo detto le vie d'accesso al paese erano ostruite e minate. Con l'aiuto della popolazione gli artificieri disinnescarono le cariche nei punti più strategici. Il 28 luglio Omero Coli accompagno un ufficiale alleato al campo minato situato vicino alla villa Rosselli Del Turco (vd. cartina -M-). In questa zona i tedeschi avevano mimetizzato le mine anticarro

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fra l'erba ed a piedi, con molta attenzione, era possibile ispezionare il campo.

I due si inoltrarono nel campo minato dove l'ufficiale
disinnesc
ò alcuni ordigni e raccolse una granata.
Scoprirono poi una mina di maggiori dimensioni;
l'ufficiale si inginocchi
ò e cominciò ad armeggiarci.
Omero fece capire che riteneva troppo pericoloso
allentare il coperchio dell'ordigno, ma il militare
insist
è ed anzi, siccome non riusciva ad allentare a
mano tutti gli attacchi del coperchio, chiese delle
pinze. Perci
ò fu mandata Ersilia Col lini, che si
trovava non molto distante dalla propria casa, a
prendere l'arnese necessario. Nel frattempo l'ufficiale
riusc
ì ad allentare a mano una parte degli attacchi che
erano costituiti da filo di ferro intrecciato.

Omero si era portato alle spalle dello sminatore facendo appena capolino ed Ersilia stava sopraggiungendo con le pinze, quando la mina esplose. Omero rimase gravemente ferito ma fu riparato dal corpo dell'ufficiale dilaniato dall'esplosione; Ersilia, seppure a ragguardevole distanza, fu colpita violentemente dalle schegge.

I due civili furono portati dagli alleati, dopo una sosta all'ospedale da campo posto nella valle del Virginio vicino alla Romita, all'ospedale di Siena, dove Ersilia Col lini dopo poco morì, mentre Coli Omero dopo molto tempo ritornò a casa con bruciature, escoriazioni e ancora delle schegge che non era stato possibile estrarre.

Nel campo minato nei pressi del ponte "dì Bino" (Zona San Gaudenzio) saltarono in aria alcuni militari indiani (I GURKA). Due di questi ci trovarono la «orte ed uno perse la gamba.

Poco distante una delle potenti ruspe che stava lavorando al ripristino del passo, con un ponte di emergenza (17), fu fermata dalla violenta esplosione di una mina anticarro.

II passaggio fu comunque realizzato e permise il
transito di colonne con truppe e materiali.

Un carro armato alleato saltò su una mina nel caapo all'inizio di Via Collina (vd. cartina -N-), vicino all'aia di cui oggi si vede solo una parte. Non ci furono feriti, ma il carro rimase dove si trovava per molto tempo, con un cingolo saltato (18).

Anche in questa frazione, come in tutta la Nazione, gli alleati trovarono la gente stremata dalle peripezie della guerra.

Pertanto la distribuzione di cioccolata, sigarette, carne in scatola, ecc. fu salutata con molto entusiasmo.

A Montefiridolfi gli alleati si insediarono per qualche tempo nella falegnameria Sani dove erano stati i tedeschi e si attendarono fra il viottolone e Via S.Maria Macerata (vd. cartina -0-).

Nella zona di S. Gaudenzio - Campoli si attendarono per alcuni giorni dei soldati indiani; il campo era situato nel bosco poco oltre le colonne della cancellata d'ingresso alla villa Belvedere. Ancora oggi si possono

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vedere delle piccole (19) ma numerose trincee che furono preparate da quei soldati per ripararsi in caso di bombardamento.

Più massicciamente gli alleati si accamparono in località Bargino, sulla Via Cassia e lì rimasero diverse settimane prima che Firenze fosse liberata dai partigiani. Successivamente dei reparti americani si accasermarono per qualche tempo alla villa "La Loggia" ed a "Hanetto". Ci furono anche scambi fra la popolazione civile ed i militari, che si rifornivano di generi alimentari freschi, (frutta, uova, ecc. ma poteva bastare anche un bicchiere di vino) contraccambiando con indumenti, coperte, ecc.

La bonifica dei campi minati (vd. cartina M - P), dove non costituivano intralcio all'avanzata, fu eseguita in un secondo tempo ad opera di apposite squadre ci vi 1i.

Queste squadre erano composte da fascisti compromessi in azioni squadristiche o fiancheggiatori dei tedeschi ed il pericoloso compito che svolgevano costituiva una certa "riabilitazione".

Gli sminatori, nella zona dell'Olmo fecero brillare delle cariche vicino (forse sopra) ad altre sepolte nell'immediatezza del fronte dalle truppe alleate. La sovrapposizione provocò un'enorme voragine ed una ricaduta a pioggia dei detriti tanto da oscurare il sole nelle vicinanze, oltre a danni alle case vicine. A Montefiridolfi lo sminamento non fu completo perchè Nello Bartalesi, arando dopo un paio d'anni vicino a dove era saltato il carro armato (vd. cartina -N-), portò allo scoperto un'altro ordigno anticarro che era rimasto sepolto dalla terra ricaduta nell'esplosione dello sbarramento di Via Collina. Il colono intendeva spianare il terrapieno che si era formato arando in profondità la terra smossa ed ebbe la fortuna che la mina rimase in mezzo ai buoi mentre l'aratro, pur toccando l'ordigno, lo prese dal di sotto e lo ribaltò allo scoperto.

Nella zona di Montefiridolfi non operarono formazioni partigiane organizzate; da segnalare comunque la preparazione e "posa in opera" di attrezzi per forare e tagliare le gomme ai convogli tedeschi lungo la Via Cassia da parte di alcune famiglie nella zona di San Gaudenzio.

Queste famiglie nascosero anche per molto tempo Giorgio Castelnuovo, un ebreo che aveva dei possedimenti nella zona.

Castelnuovo, dalla sua clandestinità, contribuì alla lotta partigiana con incarichi di responsabilità. Egli, per la sua difesa, non aveva certo mancato d'astuzia portandosi dietro una normale ed innocua lima a triangolo che, togliendo il manico diventava una punta terribile come una baionetta; inoltre aveva insegnato al suo fedele come lupo a riportare, al suo comando, la pistola che nascondeva, di volta in volta, in posti sicuri .

Dopo l'8 Settembre 1943 il Tenente Colone!lo Angelo Chiesa si era  rifugiato  dalla  sorella  alle

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Ouattrostrade. La sua esperienza di militare fu messa a disposizione dal Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.) di San Casciano e dopo la Liberazione fu il primo Sindaco del nostro Comune.

Sembra che dopo molti anni dal passaggio del fronte, farse addirittura 20 anni, durante dei lavori di stipatura di un bosco della fattoria Antinori furono rinvenuti i resti di tre corpi di militari tedeschi. Dovrebbe essere stato lo stesso scopritore a seppellire quei resti.

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Piantina area Montefiridolfi


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NOTE

(1) Sembra che Amedeo fu sequestrato e condotto a
S.M.Macerata. In quel gruppo di case il giovane fu
lasciato per qualche tempo senza sorveglianza ed il
contadino Pagliai, che era in contatto con i
tedeschi perch
è gli portava l'acqua con una botte,
cercò di convincerlo a darsi alla fuga, ma il
giovane non rispondeva e sembrava come paralizzato
dalla paura.

Successivamente fu caricato su un camion e da allora si possono solo riportare delle voci. Può darsi che sia stato deportato verso Bologna, come si parla del cadavere di uno sgozzato, al quale, corrispondevano dei denti incapsulati in oro a quelli del Catenacci. In "La Val di Pesa nella guerra di Liberazione" (1974 A.P.C.) Amedeo Catenacci risulta inquadrato in una squadra partigiana ed intercettato dai tedeschi nei pressi di S.M.Macerata il 20 Luglio 1944. Da allora è stato dichiarato disperso presunto fucilato dai tedeschi. In "Lotte Politiche e Sociali in Val di Pesa" (1979 Salvianti-Ciapetti) si riporta l'episodio della sparizione pur considerando il Catenacci fra la popolazione inerme.

(2)  Purtroppo in altre occasioni sembra che non tutti i loro camerati si dimostrarono altrettanto disciplinati e, riguardo a questo, neanche tutti gli alleati.

(3)  Associazione Partigiani Cristiani "La Val di Pesa nella Guerra di Liberazione" (1974).

Carlo Salvianti -Remo Ciapetti "Lotte Politiche e Sociali in Val di Pesa" (1979)

(4)  Fra la gente il più forte indiziato del ferimento fu uno sfollato già noto per essere assolutamente senza scrupoli, che può averlo fatto per provocare i nazisti e rendere preziosa una sua spiata, oppure per risentimento di non essere stato ricompensato abbastanza dei suo servigi. Infatti negli ultimi tempi questi non aveva la fiducia neanche dei tedeschi.

(5)  Sulla lapide commemorativa ed in alcuni testi storici citati è stata messa la data del 23 Luglio, ma come ricordano i testimoni, la fucilazione in località "Fornace" di Fabbrica si svolse il giorno dopo Pratale. A provare la data del 24 sono inoltre le date incise sulle tombe delle vittime, un documento rilasciato dal C.N.L. di San Casciano che dichiara la morte per fucilazione di Bartalesi Bruno giorno 24, la deliberazione del Consiglio Comunale di San Casciano in seduta solenne del 26 Luglio 1964 ed infine il registro dei morti della parrocchia di Fabbrica che conferma tale data. La confusione può essere stata causata dalla vicinanza

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delle località

(6)  "Il Masso" è un contrafforte naturale, appena sotto l'abitato di Fabbrica, su cui i tedeschi ricavarono trincee per mitragliatrici ed artiglieria, data la strategica posizione sulla Val di Pesa e specialmente sulla strada che collega Sambuca alla Cassia e San Casciano.

(7)  Verdiani, ufficiale di Posta, aveva delle forbici da sarto; Bagnoli, artigiano, aveva uno stiletto tipo girarrosto; Francolini, bottegaio, aveva un forcone.

(8)  Benelli Giovanni, morì di cancro il 24 agosto 1944.

(9)  La "balilla" era di proprietà di Gino Nencioni, che ne era alla guida, ed era stata requisita e messa a disposizione dei Carabinieri di Mercatale. Anche se è solo una coincidenza, a bordo dell'auto, oltre al proprietario, c'era il Maresciallo Fogliani con un altro carabiniere (forse due) che stavano sfollando a Tignanello lasciando la caserma abbandonata.

Dalla caserma abbandonata Mario Bini prelevò armi e

munizioni che furono consegnate alla formazione

partigiana che operava nella zona di San Donato in

Poggio.

A.P.C, opera citata pag. 41.

Salvianti - Ciapetti opera citata pag. 220.

(10)            Della razzia di buoi si trova anche traccia nel libretto colonico di Giovan Battista Bartalesi (vd. allegato 4).

(11)            NEIL ORPEN "Victory in Italy" pag. 148 - 154 (Truppe sudafricane "diario di guerra").

(12)            Il corpo dell'artigliere fu trasportato, coperto di sangue, con un sidecar (moto con carrozzetta) al distaccamento accasermato nel rifugio del castello.

(13)  Secondo A.P.C., opera citata, Gino Bini fu catturato dai tedeschi durante un'azione partigiana e fucilato lungo la strada di Campoli. Salvianti-Ciapetti - opera citata - riporta l'episodio della fucilazione ma lo considera invece fra le rappresaglie contro la popolazione inerme.

(14)  E' questo il primo apparire dalle nostre parti di una macchina movimento terra e ciò stupì tutti, perchè in pochissimo tempo fece il lavoro di diversi uomini.

(15)           Si parla di camion, di morti che poi furono seppelliti provvisoriamente vicino alla Fornace.

(16)           La Fornace deve il suo nome all'importante fornace di "Barabino", andata completamente distrutta nel

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corso dagli scontri.

(17)      Il ponte era costituito da bidoni scoperchiati e senza fondo che, disposti a tubazione, vennero ricoperti di terra.

(18)      Un altro carro alleato fu bruciato in località il Mandorlo fra Valigondoli e Quattrostrade e nello scontro ci furono diversi morti.

Dei carri arsati tedeschi si ricorda l'immobilizzazione di un "tigre" in località Le Banderuole, vicino Mercatale. Questo carro, passando sopra una capace cisterna per la raccolta delle acque piovane ne provocò lo sfondamento. A causa del cedimento il tigre si inclinò lateralmente ed entrò nella cisterna poggiando su un fianco.

I carristi non riuscirono ad uscire senza l'aiuto dei loro camerati perchè gli sportelli d'accesso rimasero incastrati contro la parete della cisterna ed i detriti del crollo. Se ci fosse bisogno di illustrare la qualità dei materiali tedeschi basterebbe considerare che molti dei perni di collegamento delle piastre dei cingoli di quel carro armato furono riciclati come subbie dai muratori della zona ed ancora oggi, almeno una, viene normalmente usata.

(19) Mediamente queste trincee sono rettangolari con i
lati circa 0.60 e 1,5 m per una profondit
à di 0.40
m., su cui erano disposti sassi e la terra dello
scavo.

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Direttrici della avanzata alleata (San Casciano e Montefiridolfi)



Riproduzione di una pagina del "libretto di stalla"


ALLEGATO 4


Oltre a confermare i sequestri tedeschi questa pagina (e meglio ancora il resto del libretto colonico) può dare un'idea dell'economia di quel periodo e dei cambiamenti, da prima a dopo, il fronte.



Disegno della piazza di Montefiridolfi - 1945